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giovedì 30 novembre 2023

La poesia di Joyce Mansour

Joyce Patricia Ades – questo il suo nome da “signorina” – era nata a Bowden, in Inghilterra, nel 1928. I suoi genitori risiedevano però abitualmente al Cairo, dove la famiglia Ades faceva parte da diverse generazioni della numerosa colonia britannica. Dopo gli studi secondari svolti in Svizzera e Inghilterra, Joyce rientra quindi in Egitto. Nel 1947, primo tragico matrimonio: suo marito, colpito da un male incurabile, muore dopo appena sei mesi. Nel ‘49, si risposa con Samir Mansour della comunità francese. La nuova coppia comincia allora a spostarsi tra Parigi e Il Cairo, e Joyce s’inizia alla cultura francese assimilandone la lingua. Nel ‘53 pubblica a Parigi la sua prima raccolta di poesie, Cris, attirando da subito l’attenzione dei surrealisti. Sarà l’inizio di una parabola creativa che si esaurirà soltanto nel 1986, allorquando la scrittrice anglo-egiziana muore per un tumore al seno. Per dare un’idea del personaggio, riportiamo qui di seguito una testimonianza di Claude Courtot (membro del gruppo surrealista nel 1964-69): «Avevo fatto la conoscenza di Joyce e di Breton nel 1964. Al caffè La promenade de Venus, lei si sedeva sulla panca in fondo alla sala, sotto il grande specchio, in modo da essere di fronte a Breton chiedeva regolarmente del rum e fumava un sigaro enorme che, per uno strano contrasto, rendeva ancora più femminili i tratti del suo viso di bambola bruna dagli occhi attraenti come pozzi. Rileggo non senza emozione questo breve annuncio apparso su France-soir del 15-16 ottobre 1967: “Cerco SOGNI da collezionare. Scrivere a Joyce Mansour, 1 avenue du Maréchal-Maunory. Parigi 16°.”». L’opera letteraria della Mansour, tuttora pressoché sconosciuta anche in Francia, ridisegna incessantemente una cartografia dell’amore carnale, cercando, allo stesso tempo, di sottrarlo all’utilitarismo e ai buoni sentimenti; il tutto grazie all’espressione di un’energia vitale ricca di humour e di fervido erotismo. Siamo comunque ben distanti dalle manie ostentate da un Dalí, come pure dall’accanimento lirico-ossessivo di un Bataille (si pensi qui al simbolismo uovo-occhio-testicolo di Histoire de l’œil); tuttavia, anche nella poesia della Mansour è quanto mai preminente la lotta tra Eros e Thanatos, benché si risolva spesso in un’aggressiva ed ironica civetteria, la quale, d’altronde, si sposa magnificamente alle ruvidità, per niente volgari, di una scrittura risoluta e personale. Inoltre, fin dagli esordi, i testi della Mansour mantengono scarsi legami di parentela con la scrittura automatica adottata dagli altri membri del gruppo. Secondo Arthur Rimbaud – uno dei numi tutelari del surrealismo –, la “donna poeta”, liberata dalle costrizioni sociali, avrebbe trovato “cose strane, insondabili, ripugnanti, deliziose”. Ebbene, con la poesia di Joyce Mansour, tale premonizione ha trovato certamente una delle sue realizzazioni più belle, imperiose ed emozionanti.








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