Trascorsi il mio cinquantesimo compleanno nel penitenziario del Missouri. E quale posto poteva essere più adatto a una ribelle per celebrarvi un simile anniversario? Cinquant'anni! Mi sembrava di averne cinquecento sulle spalle, tanto la mia vita era stata colma di avvenimenti. Quando ero in libertà quasi non mi ero accorta del tempo che trascorreva, forse perché avevo trasposto la mia vera nascita nel 1889 quando, all'età di vent'anni, ero arrivata per la prima volta a New York. Come il nostro Sasha, il quale scherzando era solito togliere dalla propria età i quattordici anni passati al Western Penitentiary, allo stesso modo anch'io solevo dire che i miei primi vent'anni non andavano conteggiati, dato che non li avevo quasi vissuti. Tuttavia la prigione, e ancor di più la povertà esistente in tutte le nazioni, la selvaggia persecuzione dei radicali in America, le torture cui ovunque era sottoposto chi protestava contro le condizioni sociali, tutto questo aveva su di me l'effetto di farmi sentire il peso degli anni. Lo specchio mente solo a chi desidera essere illuso. Quei miei cinquant'anni, trenta dei quali trascorsi in prima linea, avevano dato qualche frutto o erano stati soltanto una vana battaglia donchisciottesca? Tutti i miei sforzi erano serviti solo a riempire il vuoto interiore, a dar sfogo al mio temperamento turbolento, oppure il corso cosciente della mia vita era stato dettato dall'ideale? Erano questi i pensieri e i dubbi che mi turbinavano in testa il 27 giugno 1919 mentre spingevo il pedale della macchina da cucire.
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