La rivoluzione di Febbraio scoppiò. Non appena seppi che ci si batteva a Parigi, mi feci prestare, per far fronte ad ogni evenienza, un passaporto da una persona di mia conoscenza e mi misi in viaggio per Parigi. Ma il passaporto non serviva: «La Repubblica è proclamata a Parigi», tali furono le prime parole che abbiamo sentito alla frontiera. A questa notizia, sentii come un brivido; arrivai a piedi a Valenciennes, essendo stata distrutta la ferrovia; ovunque la folla, delle grida d'entusiasmo, bandiere rosse in tutte le strade, in tutte le piazze e su tutti gli edifici pubblici. Fui costretto a fare un lungo giro, essendo la ferrovia impraticabile in molti punti, ed arrivai a Parigi il 26 febbraio, tre giorni dopo la proclamazione della Repubblica. Già lungo il mio cammino tutto mi entusiasmava. Questa città enorme, il centro della cultura europea, era improvvisamente diventata un Caucaso selvaggio: in ogni strada, quasi ovunque, delle barricate erette come montagne e che giungevano fino ai tetti; su queste barricate, tra i sassi ed i mobili ammucchiati, come dei Georgiani nelle loro gole, operai con divise pittoresche, neri di polvere e armati fino ai denti; dei grossi bottegai con la faccia inebetita dallo spavento, guardavano paurosamente dalle finestre; nelle strade, sui viali, non una sola vettura; scomparsi, tutti i vecchi mascalzoni, tutti gli odiosi damerini con l'occhialetto e la bacchetta e, al loro posto, i miei nobili operai, le masse entusiaste e trionfanti che brandivano le bandiere rosse, cantando canzoni patriottiche, inebriati dalla loro vittoria! Ed in mezzo a questa gioia senza limiti, a questa ebbrezza, tutti erano talmente dolci, umani, compassionevoli, onesti, modesti, educati, amabili e spirituali, che simili cose si possono vedere solo in Francia, anzi solo a Parigi. Successivamente, per più di una settimana, abitai con degli operai la caserma della rue de Tournon, a due passi dal Palazzo del Lussemburgo; questa caserma, prima riservata alla guardia municipale, era diventata allora, come molte altre, una fortezza repubblicana che serviva da accantonamento all'armata di Caussidière. Ero stato invitato a sistemarmi là da un mio amico democratico che comandava un distaccamento di cinquecento operai. Ebbi dunque così l'occasione di vedere gli operai e di studiarli dal mattino alla sera. Mai e da nessuna parte, in alcun'altra classe sociale, ho trovata tanta nobile abnegazione, né tanta onestà veramente commovente, tanta delicatezza di modi e tanta amabile allegria unita ad un simile eroismo, se non in questa gente semplice, senza cultura, che è sempre valsa e che varrà sempre mille volte di più dei suoi capi! Questo mese passato a Parigi fu un mese di ebbrezza per l'anima. Non ero io solo l'ebbro, ma lo erano tutti: gli uni per la folle paura, gli altri per la folle estasi, fatta di speranze insensate. Mi alzavo alle cinque o alle quattro del mattino, mi coricavo alle due, rimanendo in piedi tutto il giorno, andando a tutte le assemblee, riunioni, circoli, cortei, passeggiate o dimostrazioni; in una parola, aspiravo con tutti i miei sensi e con tutti i miei pori l'ebbrezza dell'atmosfera rivoluzionaria. Era una festa senza inizio e senza fine; vedevo tutti e non vedevo nessuno, in quanto ogni individuo si perdeva nella stessa folla innumerevole ed errante; parlavo a tutti senza ricordarmi né le mie parole né quelle degli altri, poiché l'attenzione era assorbita ad ogni passo da fatti e da oggetti nuovi, da notizie inattese.
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