Giugno 1968. Venivano portate avanti parole d’ordine piuttosto avanzate sulla riforma delle carceri e contro la carcerazione preventiva (e non va dimenticato che sia alle Nuove che a San Vittore aveva avuto una certa importanza il contatto con gli studenti arrestati per le lotte universitarie), d’altra parte si poteva rilevare un carattere episodico dovuto sia alla mancanza di organizzazione interna, sia all’importanza eccessiva che vi ebbero motivi di contenuto immediato. La rivolta si estese a San Vittore e a Poggioreale. Aprile 1969. La rivolta. Non a caso è cominciata nel giorno dello sciopero generale per i fatti di Battipaglia, col ribadire la richiesta di riforma e con una azione di denuncia e di appello all’opinione pubblica. Si è continuato con la critica a tutto l’ordinamento giudiziario, alla giustizia di classe (negli slogan e nelle dichiarazioni ai giornali i detenuti introducevano spesso duri attacchi all’istituto della difesa d’ufficio, e soprattutto a quello della custodia preventiva, che sono due nodi fondamentali del sistema classista della giustizia italiana) (…) A lanciare parole d’ordine fu un «comitato di base» costituito da elementi giovani che si impossessarono del ciclostile per diffondere una «carta rivendicativa» in cui si proponeva l’elezione di un comitato delegato a fare una conferenza stampa e l’impegno di astenersi dai danneggiamenti nel caso le autorità avessero preso impegno di non dar corso a punizioni e trasferimenti. Le autorità non si assunsero impegni. In seguito a ciò, nell’ultimo giorno il comitato non riuscì minimamente a indirizzare la rivolta, che si fece violentissima. Bisogna ricordare che, nella fase non violenta e protestataria la polizia già seguì una tattica di brutale repressione, imbottendo il carcere di bombe lacrimogene. La giusta violenza dei carcerati fu non solo una risposta alla repressione, ma anche un tentativo pratico-politico di riforma carceraria a modo loro. Infatti fu distrutta la cappella (la religione è una delle chiavi del cosiddetto sistema rieducativo basato sulla violenza); l’ufficio matricola; l’ufficio fascicoli personali, dove il detenuto riceve il marchio di reietto; l’infermeria simbolo della discriminazione classista interna, in quanto è noto che le persone di elevata condizione (o che possono pagare) vi sono ricoverate sine die. Furono distrutte le fogne del 1857 e le tubature d’acqua antiquate, i miseri «impianti» per l’igiene, con lo scopo dichiarato di farle costruire nuove e come denuncia di una condizione di vita disumana. Furono resi inservibili i macchinari delle lavorazioni su cui si fatica otto ore per guadagnare 350 lire al giorno. Le autorità dapprima reprimono duramente, poi invece è il trionfo del paternalismo e delle promesse a buon mercato. Conclusione: l’ordine è ristabilito, col trasferimento punitivo verso carceri lontane: questo significa aggravare l’isolamento del recluso e prolungare di molto la detenzione preventiva, visto che i giudici istruttori rimangono a Torino ed in questo modo le procedure si allungano di anni. Dopo una rivolta a pagare rimangono sempre e solo loro, i detenuti. E sono anni di galera in più.[Documento detenuti, carcere di Torino, 11 aprile 1969].
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